Avevo l’occasione di fare una cosa pulita, fatta bene, ben scritta su un tema che mi sta a cuore e invece ho scelto l’impepata di cozze
“Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni. E poi delle settimane in cui non accade nulla in cui Pietro percepisce che siano accaduti decenni”
- Lenin più o meno
Questa settimana si è aperta con il primo anniversario dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, è continuata con le torture di Trapani ed è finita con Chiara Valerio che piange miseria perché qualcunə le ha fatto gentilmente notare che dedicare la fiera Più libri più liberi a Giulia Cecchettin e poi invitare a parlare un uomo a processo per maltrattamenti non era il top. C’è un filo rosso? Boh
Stavo decidendo se fare davvero questa newsletter quando poi il compagno FC (ufficiale) mi ha fatto notare che
e quindi non mi sono più potuto astenere perché veramente mi girano a elica - che è anche una cosa machista da dire quindi tutto torna
Siccome devo dare un ordine di qualche tipo a questa newsletter che se no è davvero troppo un casino (è anche la prima che mando a 100 persone quindi che ansia!!!), dividiamo in capitoletti:
Quel posto di merda dove mettiamo i carnefici
Non essere ipocriti sui carnefici
(Composizione ad anello) essere delle merde con i carnefici non serve a nulla
Quel posto di merda dove mettiamo i carnefici
Mi sembra che mi sembra importante invertire l’ordine di importanza delle cose per una volta. Siccome sembra sempre l’ultimo dei problemi quel che ce ne facciamo dei colpevoli quando li troviamo… Per una volta, così per sport, partiamo dalla fine.
E partiamo dalla cosa più banale: è giusto che una persona o un’istituzione paghi un qualche tipo di debito con la società se fa del male a qualcunə, punto. È anche vero che però la civiltà ha scelto il modo più semplice e stupido di tutti, ovvero quello di togliergli la libertà. Ci sarebbero un sacco di considerazioni intelligenti e filosofiche da fare sulla privazione della libertà, ma la realtà a volte è più semplice di come la descriviamo con voli pindarici: il carcere è una pezza molto più piccola del buco. Rinchiudere una persona non la rende migliore, punto. Puoi decidere di rinchiuderla per sempre per aver spacciato eroina? Evidentemente no, anche se tutto sommato a qualcuno farebbe piacere.
Aggiungiamo ovvio all’ovvio: le nostre carceri hanno un problema gigante con il personale che le gestisce. Io sinceramente non so se ci sia da commentare granché su quello che è successo a Trapani.
Il problema enorme è che Trapani è l’ennesimo episodio di una lunga lista. I primi che mi vengono in mente ovviamente sono Santa Maria Capua Vetere e il Beccaria che tra parentesi è un minorile, ma ci sarebbe pure Cuneo, ci sarebbe anche Ivrea e chissà quanti altri posti. D’altronde, noi facciamo finta che il carcere sia un luogo di assenza, di vuoto, di privazione, di ascetismo. E invece è un luogo di guerra.
È un luogo di guerra perché decidiamo di farlo gestire a un corpo di polizia penitenziaria che farebbe brutta figura pure in un film in cui James Bond è rinchiuso in un carcere in un luogo molto esotico e molto poco civilizzato ai suoi occhi di gelido albionico.
E con “lo facciamo gestire” non intendo “ne facciamo gestire la sicurezza”, intendo che nelle carceri ci sono solo guardie. La differenza in termini di numeri con il personale medico, con i mediatori culturali (ricordiamo pure ogni tanto che il 30% dei detenuti non è italiano), con gli educatori, con gli psicologi e via dicendo fa impressione. Noi pensiamo che sia normale e non lo è.
Sulla polizia penitenziaria e su come mantengono il proprio potere consiglio questo numero della newsletter Fratture, che una volta al mese si occupa di carcere. Newsletter molto più indicata di questa per farlo:
Non so bene che altro dire se non bestemmiare fortissimo alla prossima volta che arriva un commento tipo questo a un video che faccio sul tema, perché sì il dialogo e cercare di convincere le persone passo passo ma sembra che lo facciano apposta.
Moving on.
Non essere ipocriti sui carnefici
Questo capitolo si chiama così perché “se per una volta evitiamo di non vivere in una boccia di cristallo dove il male del mondo non esiste ci facciamo un favore” era troppo lungo e rischiava di non essere pienamente comprensibile.
Recappo al volissimo per chi non ha seguito la polemica.
Chiara Valerio è una scrittrice e un’intellettuale. È una delle penne culturali più importanti di Repubblica e in quanto tale le è stato affidato un compito non semplice: essere curatrice e responsabile del programma di Più Libri Più Liberi, che è la fiera nazionale della piccola e media editoria, promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori. Non ho mai capito benissimo per quale sistema di scatole cinesi ma mi sento in diritto di dirlo: è un po’ la fiera dei libri di Repubblica, che domina sempre il programma.
(ULTERIORE NOTA POLEMICA DA INFAME - Più Libri Più Liberi è odiata dai librai indipendenti romani perché continua indefessamente a svolgersi sotto Natale, ovvero il periodo in cui si vendono più libri, e una fiera così grossa e ghiottamente piena di eventi toglie clienti alle librerie, che già se la devono vedere con le varie Feltrinelli, Mondadori eccetera. Messa così sembra una polemica taxi vs Uber ma mi sembra che sia più nobile di così la questione)
Chiara Valerio quest’anno aveva invitato il filosofo Leonardo Caffo a tenere una lectio magistralis sviluppata intorno al suo libro “Anarchia – Il ritorno del pensiero selvaggio”.
La polemica si è sviluppata intorno al fatto che Leonardo Caffo è attualmente a processo per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi e aggravate sulla sua ex compagna. La sentenza di primo grado dovrebbe arrivare il 10 dicembre, due giorni dopo la fine della fiera e tre giorni dopo l’incontro.
Quest’anno l’intera fiera è dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin, vittima l’11 novembre del 2023 del suo femminicida.
Alla fine, l’incontro non si terrà perché Caffo ha rinunciato con una lettera molto polemica, letta sui social da Chiara Valerio.
Questa è la polemica, che si dovrebbe svolgere secondo i canoni più classici della polemica: Chiara Valerio ha pestato un merdone. E invece no, Chiara Valerio si difende con le unghie e con i denti, dalle pagine di Repubblica, sul suo profilo Instagram, in diretta su La7 ospite di Propaganda Live.
La tesi è molto semplice: Caffo non è ancora stato dichiarato colpevole, in questo Paese esiste la presunzione d’innocenza, Caffo ha tutto il diritto di svolgere una lectio magistralis.

Facciamo finta per un secondo che Chiara Valerio sul serio tenga alla presunzione d’innocenza e non stia difendendo Caffo perché è n’amico suo.
Qui toccare il cortocircuito è facile, perché in una società in cui Ben Shapiro ha più rilevanza culturale di Pasolini è normale che non si riesca a spiegare un concetto politico senza procedere con fatti&logica.
Il commento che mi ha più fatto torcere le budella l’ha lasciato sotto al video di Valerio il direttore del Post, Luca Sofri.
Mi ha fatto torcere le budella perché stimo Sofri, perché vorrei essere d’accordo con lui e non lo sono.
Un po’ per storia familiare, un po’ perché è una persona molto seria, rigorosa, intelligente e azzarderei a dire per bene, Sofri ha sempre avuto un occhio di riguardo per il modo con cui in Italia si tende a sbattere in carcere la gente.
La “pena preventiva” di cui parla Sofri è un espediente retorico da paraculissimi, anche perché fino al 10 dicembre l’unica pena a cui è stato sottoposto Caffo è un surrogato di cancel culture.
C’è una bella differenza tra
sbattere la gente in carcere / considerarla colpevole a prescindere
e
farla parlare su un palco.
In mezzo ci passa una cosa che non so bene come si chiama: decenza, opportunità politica, sensibilità?
Leonardo Caffo nella sua giovane vita ha avuto molto spazio: vogliamo crocifiggerci perché il nostro sentimento collettivo nei confronti della violenza di genere non collima esattamente con la sua presunzione d’innocenza? Fine by me, almeno fino a quando stiamo parlando tra amici di massimi sistemi. Ma qui non stiamo parlando tra amici e non stiamo parlando di massimi sistemi. Stiamo parlando di gente che una volta ogni tre giorni mezzo muore e di come la società (e soprattutto gli uomini) deve imparare a vivere la propria responsabilità nei confronti della violenza di genere. Sono cose molto pratiche.
Il dato più impressionante che mi è capitato sotto gli occhi in questi giorni ha a che vedere con la denuncia. Non che non sapessi che la non denuncia fosse un problema, ma leggere numeri del genere fa sempre effetto. La percentuale di donne che chiamano il 1522 e non denunciano è 82,2%, a cui va aggiunto un 2,1% di donne che ritirano la denuncia. E qui stiamo parlando di una parte ristretta delle vittime (o presunte vittime, voglio vedere se Valerio, Sofri o Ciabatti se l’accollerebbero di chiamarle così). Stiamo parlando di gente che ha già fatto un passo bello lungo, ovvero alzare la cornetta. Una vittima su quattro non parla con nessuno della violenza subita. Nove su dieci non denunciano.
È esattamente per questo che esiste un motto che sembra fare a cazzotti con la presunzione d’innocenza, hermana yo si te creo.
Ecco, tra la presunzione di innocenza e la scelta di far parlare o meno una persona a processo per violenze di genere c’è questa roba qui. Non è risolvibile con un bianco o con un nero. Ogni tanto, un uomo, intellettuale, può accollarsi di stare nel grigio: innocente fino a prova contraria, ma non su un palco.
Nell’inferno generalizzato che è il nostro sistema giudiziario, che porta a un tasso di condanne senza senso e a un tasso di gente a processo per una vita altrettanto senza senso, una denuncia in più, anche se porta a un’assoluzione, è un prezzo che un uomo può e deve accollarsi, almeno finché non avremo un metodo migliore di far emergere le violenze di genere. Mi dispiace per tutti gli uomini all’ascolto, ma è così. Dopodiché, penso che abbiamo tutti gli strumenti per non trovarci in quella situazione. Tipo essere un po’ meno delle merde.
(is this composizione ad anello?) essere delle merde con i carnefici non serve a nulla
Ora, mettiamo il caso che Caffo venga condannato il 10, e che poi venga condannato anche in secondo e terzo grado. Mettiamo il caso che prenda una condanna severa, anni da passare in carcere. Che ce ne facciamo di una persona del genere in carcere? Lo lasciamo lì per aspettare che esca e ci tiri in faccia un nuovo libro sulle violenze dalla prospettiva del carnefice?
Ecco, ci sono dei carnefici che non sono vittime di un sistema giudiziario che gli fa un torto eccessivo, come per esempio lo fa a un sacco di persone dentro per droga. Non tutti i detenuti ci entrano con la postura della vittima di un sistema ingiusto. No, questa gente sta dentro anche perché mena o uccide la compagna. Il carcere quindi è verosimilmente pieno anche di gente di merda. Io me la immagino una condizione tipo wet market in Cina, uno di quei posti dove se va bene rischi diciotto malattie diverse, se va male scoppia una pandemia di Covid-19.

Qualche tempo fa i giornali e le televisioni ebbero la geniale idea di pubblicare l’intercettazione di un colloquio tra Filippo Turetta e i suoi genitori. Turetta padre se ne uscì con una frase che fece scandalo ma che mi sembra acquisti un senso inedito se guardiamo insieme carcere e violenza di genere e l’unico filo rosso che li lega: “Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza”.
Al di là del fatto che in carcere, appunto, ci stanno i Filippo Turetta e ci stanno i fratelli Graviano. Questi ultimi poi sono al 41-bis, ovvero il non plus ultra dell’anti-rieducazione del detenuto. Vorrei soffermarmi di più sul 41-bis ma in realtà non mi va.
C’era chi aveva ritenuto di saltare addosso alla vicenda con commenti molto edificanti tipo questi.

Questi commenti evidenziavano involontariamente una cosa: Filippo Turetta ha il diritto di laurearsi anche dal carcere. Avrebbe anche il diritto di fare altre cose, ovvero decidere di intraprendere un percorso in un Centro per uomini autori di violenza. Penso non ci sarebbe miglior pubblicità per il nostro sistema penale: Filippo Turetta in un CUAV. Tipo l’obiettivo del carcere in un’istantanea. Ma siccome Filippo Turetta si beccherà l’ergastolo come società non abbiamo alcun interesse a rieducarlo, tanto la vita in carcere la passa comunque.
Ecco, è ovvio che il nostro approccio non dev’essere non far respirare il detenuto come dice Delmastro. Il nostro obiettivo dev’essere riconoscere la violenza di genere, prevenirla, imparare a sradicarla e questa cosa si fa anche lavorando con i carnefici. Sempre se non siamo tanto ipocriti da non volerli guardare in faccia
Basta perché sono le 2:45 del mattino e sto ancora a scrivere, vi arriva domattina tanto. Baci alla prossima <3
Finalmente qualcuno che parla di quel commento di Sofri. Sono ancora basita
il motivo per cui esiste Ben Shapiro è anche colpa di Pasolini