mucho texto 13/10/2024
e boh se la carta fallisce? (spoiler non sono un esperto di editoria)
Io non c’ho idea del perché la gente segua le rassegne stampa. Eppure ce ne sono un sacco.
Il podcast che da solo ha creato più abbonamenti per un giornale, Morning, è una rassegna stampa. E quel giornale non è di carta, ma riassume tutti i giorni giornali di carta.
Ho paura a scoprire quanta gente sia abbonata ad Anteprima di Giorgio Dell’Arti.
Radio 24 è famosa perché c’è La Zanzara, ma c’è gente che tutti i giorni ascolta Simone Spetia in un altro tipo di sbrocco.
Giuro che c’è gente che segue “ogni tanto” = tutti i giorni La Zuppa di Porro. Su YouTube non scende mai sotto le 30k views.
Tutti prodotti che di fatto hanno la pretese di riassumere il contenuto di decine di quotidiani, di centinaia di persone.
Nel 2014 il direttore del giornale scolastico di cui facevo parte (ed ero vicedirettore) organizzò una rassegna stampa durante l’occupazione. Io avevo 17 anni, volevo fare il giornalista e quella roba era fantascienza per me. Forse per quello mi divertiva.
Massimo (che per me era un semidio) aveva deciso di scoperchiare il mio cervello e quello di diverse altre persone lì presenti facendoci capire come e perché certi giornali titolavano in un certo modo, sceglievano di mettere alcune notizie in prima pagina e via dicendo. Dopo aver imparato (più o meno) come si faceva quella cosa con i giornali di carta ho continuato a farla per anni, almeno una volta l’anno. Prima nella mia scuola, poi in altre scuole dove invitavano Scomodo (di cui ho fatto parte per un bel po’) a fare qualche tipo di corso da occupazione/autogestione. Portavo una mazzetta di giornali e spiegavo cosa e perché i giornali facevano una certa cosa.
Non ho idea del perché pensassi che quella roba potesse essere rilevante per una persona nata nel 2005 o 2006 e infatti non lo era.
E non ho idea del perché continui a essere rilevante per Giorgia Meloni, per dire una persona a caso. Una che si arrabbia perché sui giornali appare un retroscena che non è veritiero e ci manca poco che prenda a male parole il giornalista di Repubblica che scrive di lei perché l’articolo è inventato. Forse perché teme che quel pezzo possa essere ripreso dalle televisioni? Boh. Repubblica ha una diffusione totale di 149.022 copie (dato che comprende copie cartacee, copie digitali, omaggi ecc ad agosto 2024). Oh, sono poche poche poche persone. Perché una leader postfascista populista si agita così tanto per un articolo che (nella migliore delle ipotesi possibili per quel giornale) viene letto da 150mila persone, quando ha in mano telegiornali che vengono visti ogni sera da 6 milioni di persone?
(Nel calcolo non ho compreso le 2 milioni di persone che guardano il Tg3, il cui ormai ex direttore guarda caso è appena diventato direttore di Repubblica)
E lo stesso ragionamento si potrebbe fare per le opposizioni. L’unico ad aver fatto la guerra a Repubblica negli ultimi anni è Carlo Calenda, che sta facendo la guerra a Stellantis in generale (momento basato?). Perché? Perché Elly Schlein o Giuseppe Conte non hanno attaccato un giornale che ha avuto una linea vergognosa su Gaza e sulla crisi industriale che stanno attraversando questo Paese? Di che avevano paura, di una prima pagina antipatica? Wow, big fucking deal.
Non so cosa mi ha spinto a questa riflessione a freddo. Boh, forse è che è appena finita la prima settimana di direzione di Mario Orfeo a Repubblica. Giornale che nel frattempo ha perso un corrispondente di guerra molto bravo e relativamente giovane come Daniele Raineri, che è andato al Post, un giornale online che se la passa benino a quanto pare.
Nella stessa settimana il giornalista che ha scritto i pezzi più belli da anni per Repubblica sull’argomento più difficile per il giornale ha girato l’Italia per presentare il suo libro. Ci sono andato, a una presentazione del libro di Sami Al-Ajrami.
È stato così bello che ho sentito anche l’intervista che gli ha fatto Eugenio Cau su Globo. Per quale giornale? Sempre il Post.
Insomma, è stata una bella settimana per essere un giornalista. L’azienda di famiglia più odiata del mondo (e dal giornalismo) ha preso cazzotti ben assestati persino da Libero.
Libero che nel frattempo andava in cortocircuito perché Israele veniva accusato di crimini di guerra dal ministro della Difesa del governo Meloni.
In tutto ciò, mi sono goduto anche il fatto che un leone come Gad Lerner abbia fatto una gran figura in un covo di brutta roba come Muschio Selvaggio, mentre si confrontava con Karem Rohana. Altra cosa che non mi aspettavo: sono più d’accordo con alcune cose dette da Rohana che con Gad Lerner, che comunque è fieramente sionista. Ma è la prova che la stoffa giornalistica quando c’è qualcosa conta.

Tornando al cambio di direzione di Rep: cambia di una virgola su cosa sta succedendo? No. Perché è la prima settimana bella da quando quella stessa famiglia di cui sopra ha comprato il gruppo GEDI.
Nel frattempo era successa una roba di una gravità indicibile, spalmata nel corso di un paio d’anni. Immaginate queste cose su una timeline:
GEDI vende L’Espresso a Iervolino (proprietario di UniPegaso), si dimette Marco Damilano
Poco dopo si dimette anche il nuovo direttore Lirio Abbate
L’Espresso cambia di nuovo proprietà: Iervolino vende a Ludoil
(su quest’ultimo passaggio, storia interessante: Iervolino aveva deciso di investire 60mila euro per la produzione di 20 podcast da 30 puntate l’uno. Alla fine, avrebbero vinto due podcast per essere prodotti dall’Espresso. Tra questi c’era anche Buone Intenzioni, ma anche Senno di Poi di Andrea Aimar e Emanuele Monterotti o What a Faq di Silvia Semenzin. Due podcast della madonna, qualcuno li produca per carità di Cristo. Alla fine i podcast vincitori, tra i quali non c’era Buone Intenzioni, non sono stati prodotti dall’Espresso anche se c’era scritto sul contratto, perché la nuova proprietà non voleva mantenere la promessa della vecchia proprietà. Ora riprendiamo la timeline)
Passa qualche mese e il direttore Enrico Bellavia, con cui tutta la redazione aveva un rapporto a quanto pare meraviglioso, viene rimosso dal suo incarico. Al suo posto, viene chiamato un ex Tg5 che fu scelto da Berlusconi in persona per affiancare Mentana, Emilio Carelli. Ah, era anche ex 5 Stelle. Sai, le cose che succedono, no?
Qualche settimana fa, l3 giornalist3 dell’Espresso vanno in sciopero ma il settimanale va comunque in edicola sostenuto solo dalle collaborazioni
La storia degli ultimi due anni dell’Espresso è la storia di come muore una testata storica. Ecco, immaginate se gli Elkann-Agnelli dovessero decidere di vendere anche Repubblica, come a questo punto è probabile.
La differenza tra le due cose è semplice: Repubblica è molto più grande. È un palazzone di sette piani. Tra tagli e prepensionamenti gli anni della direzione di Maurizio Molinari hanno dato una bella sfalciata, ma rimane un colosso che produce un giornale che ha una diffusione pagata veramente ridicola, nonostante continui a lavorarci gente dal talento indiscutibile.
Mi sono chiesto tante volte, in tante discussioni: e se chiude Repubblica? Cosa succede, si scandalizza qualcuno? Con chi se la prende Giorgia Meloni? Qualcuno riuscirà finalmente a dire che “il giornalista” è un mestiere bello tanto quanto il falegname, ma che della bellezza il mercato se ne sbatte? Qualcuno si renderà conto che l’Ordine dei giornalisti produce ogni anno dei pezzi di carta che non servono per fare il giornalista e che i giornali online sono pieni di persone che quel tesserino non lo hanno in tasca?
Ma queste domande valgono anche per altre testate, tipo i tanto lodati e allo stesso tempo vituperati giornali locali. Il Quotidiano Nazionale è un giornale solo ma in realtà sono tre: questa cosa consente loro di prendere tre volte i contributi pubblici e di avere alcuni tra i migliori cronisti locali, che raccontano meglio di chiunque i guai della Curva Nord dell’Inter oppure i disastri con morti sul lavoro e subappalti di Suviana o dell’Esselunga di Firenze. Il tutto con una direttrice donna e under40 che per quanto mi riguarda è forse pure la migliore a fare il suo mestiere (se la batte forse con quello della Stampa, che guarda caso è un altro giornale in teoria locale). E tutto questo per cosa? Per essere comunque un giornale in perdita.
Il tutto mentre GEDI, oltre a vendere una grande testata come l’Espresso, vendeva proprio i propri giornali locali. L’unico modo per avere un bilancio in attivo che comunque non è arrivato. O magari vendere una testata serve per pagare il biglietto aereo a Sam Altman, che ne so io.
Mentre scrivevo mi è venuto in mente l’esempio di Nord Est Multimedia, gruppo editoriale guidato dall’industriale Enrico Marchi, che ha raccolto “frattaglie di GEDI” (cit di un amico giornalista di cui non rivelerò il nome), ovvero i giornali locali che GEDI ha venduto nel Nord-Est. So che ha offerto lavoro a gente brava, due persone che stimo ci sono andate a lavorare.
E però poi su Professione Reporter ho letto questa cosa:
Nessuno si aspettava niente di diverso, credo. Un industriale che si scopre editore, investe bei soldi in giornalist3 per poi cercare di trasformarl3 in marchettar3 di professione? Ma va.
Non lo so dove voglio andare a parare. Mi preoccupo perché a me i giornali di carta piacciono. È domenica, ho appena letto Charlie, la newsletter che parla di giornali. Altra newsletter del Post.
Sinceramente non so che fine farà la carta. Ci sono begli esperimenti che falliscono malamente, come fu L’Essenziale nel 2022, che chiuse con le pubblicazioni cartacee la settimana stessa della caduta del governo Draghi. Sfiga, verrebbe da dire, ma magari sarebbe andata male lo stesso.
Non so neanche che effetti potrebbe avere la carta sul giornalismo scritto. Pensavo che le due cose si sarebbero estinte insieme. Poi però sono andato a lavorare a Will Media dove due bei prodotti sono una newsletter giornaliera (Radar) e una newsletter settimanale (Bella Domanda), riservate alle persone che hanno sottoscritto un programma di membership
(e comunque ogni volta che faccio una carosello che va su Instagram ci metto una vita, soprattutto a scrivere 2000 caratteri di caption)
E soprattutto ho letto questo pezzo di Emanuele Atturo sul ritiro di Rafael Nadal e ho pensato che se il caporedattore di una testata online si può permettere di scrivere così bene, sparare sentenze sullo stile dei tennisti su Twitter e cazzeggiare coi suoi amici/colleghi su podcast molto seguiti… Boh, forse anche il giornalismo scritto sopravviverà alla carta.
L’unica cosa che so è che però mi fanno molta tristezza i giornali di carta che fanno fare i reel con il volto ai loro dipendenti più giovani. Quindi forse meglio tenersi stretta la carta finché c’è e continuare a fare finta che non stia succedendo niente e che da un giorno all’altro ci saranno di nuovo decine di migliaia di abbonat3 e milioni di lettor3 pronte a sborsare per avere un gran bell’oggetto da buttare a fine giornata, con il sudoku in fondo al giornale, subito dopo lo sport.
(ciao, questa newsletter è praticamente sia la versione substack dei rant che ogni tanto mi partono su Instagram, sia la mia libera interpretazione di una newsletter che vorrei saper scrivere io ovvero quella di Alice Santini, non ditele che l’ho citata, ciao)