fronte maranza
mucho texto 8/1/2025 per cominciare bene l’anno con un argomento per niente divisivo
Premessa
Scrivo questa intro la sera di martedì 7 gennaio. Il video qui sotto è stato reso noto al TG3 delle 19, io sto scrivendo un po’ dopo.
Quello che invece leggerete di qui in avanti l’ho scritto ieri sera (lunedì 6) con l’intenzione di impaginarlo con calma. Ma questo video non era ignorabile.
(il correttore automatico voleva cambiare con “ignobile”, per una volta sono d’accordo)
Ho corretto il minimo indispensabile, ma ho pensato fosse meglio lasciare il grosso così com’era, anche alla luce dello schifo di video che ritrae i carabinieri intenti a giustiziare Ramy Elgaml.
Tutto (titolo rubato a una pagina instagram, sottotitolo e testo) sono praticamente come li avevo scritti ieri sera.
Buona lettura.
Mi fanno schifo giovani ricchi stendono e tirano
Io faccio il tifo per i maranza che li rapinano
Lotta sociale, ferro e coltello dei delinquenti
Fra sono come la falce e il martello di questi tempi
Ciao!
La mia trasformazione in milanese è evidentemente a un punto di non ritorno nel momento in cui cito Jake La Furia nella prima newsletter dell’anno.
Questo è un mucho texto che ho pensato molto seriamente di non fare perché comunque non è che sia proprio un argomento semplice e soprattutto io non sono un sociologo, ma come sempre mi giravano malissimo, metteteci pure che sto scrivendo durante l’epifania e jackpot.
Ci tengo a sottolineare che se ci sono state delle trasmissioni tv sull’argomento me le sono perse, ma immagino che comunque le redazioni che possono permetterselo (ovvero non quelle dei giornali di carta) si stessero godendo le feste e che quindi i palinsesti fossero fermi.
Se vado bene a memoria il primo a parlarne dovrebbe esserne Mario Giordano, poi giovedì raddoppieremo con Del Debbio e infine lunedì 13 dopo Porro potremo accantonare la polemica in attesa del prossimo giro.
(inciso aggiunto a posteriori: spero vivamente che stavolta la polemica non venga accantonata)
Quello che è successo è quello che succede ogni capodanno da diversi anni: in piazza Duomo c’è un casino. Per fortuna il capodanno 2025 non è stato violento e scioccante come quello del 2022, quando decine di uomini avevano preso di mira una decina di ragazze in piazza Duomo, sei delle quali avevano subito violenze sessuali, due in particolare colpite in maniera particolarmente grave. In quel caso si erano sprecati i paragoni con quanto successo in tutta la Germania nel 2016, in particolare a Colonia, su scala esponenzialmente maggiore: circa 2.000 uomini avevano molestato, violentato, stuprato oltre 1.200 donne.
Queste sono premesse necessarie anche per contestualizzare e non minimizzare quello che succede ogni anno: una piazza piena di uomini esaltati non è un posto sicuro soprattutto per delle donne. Le quattro ragazze che sono state molestate a piazza del Duomo si sono trovate nel posto peggiore dove trovarsi.
Allora, visto che stiamo parlando di molestie, perché i titoloni dei giornali sono incentrati su immigrazione e Islam?
Perché un ospite della Zanzara, noto per i suoi video ridicoli senza essere divertenti o buffi, di mestiere guardia non meglio specificata come rivendica col suo nickname, stiticha il video di chi manda a fanculo l’Italia?
Perché si tira in mezzo Oriana Fallaci non in quanto femminista ma in quanto islamofoba, coinvolgendo persino Cecilia Sala?
Perché negli stessi giorni si decide di dare risalto sui canali social di un leader di partito, ministro e vicepresidente del consiglio, alle parole di un uomo intervistato non in quanto non-stupratore, ma in quanto lavoratore-che-ama-il-nostro-grande-Paese?
Questa carrellate di domande retoriche hanno una risposta molto banale, purtroppo: le violenze sulle donne sono l’ultimo dei problemi per chi aizza questa “guerra culturale”. “Culturale” perché chiamarla “razziale” o “santa” era bruttino.
E in effetti, chiunque parli di capodanno è più probabile che abbia visto video come il seguente, poi ricondiviso anche questo da Salvini:
La diffusione di questi contenuti online, dove dei ragazzini che gridano “Dio è grande” e rivendicano la propria identità e la propria religione, penso sia una prova sufficiente del fatto che a occuparsi di questa storia non siano solo i giornali, il che renderebbe il tutto una stucchevole polemichetta. Non so quanto questi siano problemi da bolla milanese, ma i tentativi di fare dell’identità di questi ragazzi un tema sociale e politico sono parte di qualcosa di più ampio.
Qualcosa che ha riguardato, a fine novembre, soprattutto gli scontri del Corvetto.
Gli scontri che sono seguiti alla morte di Ramy Elgaml hanno portato gente tipo Nicola Porro a mettersi in bocca parole strane e delicate come banlieue. Concetto che in Italia spesso viene tirato in mezzo per parlare delle periferie anche quando è evidente che i ghetti italiani hanno diverse storie e conformazioni sociali, non solo rispetto alla Francia, ma anche tra le stesse “periferie” italiane.
Ovviamente questo è quello che è stato detto subito dopo la morte di Ramy Elgaml e gli scontri gli scontri:
• Elgaml era su uno scooter guidato dall’amico Fares Bouzidi senza patente
• sono scappati bucando un posto di blocco
• c’è stato un lungo inseguimento
• lo scooter si schianta per la velocità
• Elgaml muore e a Bouzidi vengono trovati addosso contanti e una collanina in tasca, provento di una rapina
Tutto senza uno straccio di condizionale, senza un “sembrerebbe che”, come se il processo che probabilmente ci sarà si fosse già chiuso.
Un mese dopo ci sono sempre un ragazzo morto ma tre carabinieri indagati per come hanno gestito l’inseguimento e per accertare che non siano stati loro a speronare lo scooter.
altro inciso per ricordare che sì, dal video si vede e si sente dire dai carabinieri stessi che l’intenzione era quella di speronare lo scooter a tutti i costi, cosa che alla fine accade
A Fares Bouzidi sono stati revocati i domiciliari dopo l’interrogatorio durante il quale sarebbe stato accertato che la collanina era un pataccone di proprietà dello stesso ragazzo.
Il meccanismo razzista che entra in moto ogni volta che ci si trova di fronte a un caso del genere però non ammette sconti: i due sono criminali, Ramy Elgaml se l’è cercata, la devastazione del Corvetto è una barbarie da banlieue.
A parte per l’ultima parte, su cui tornerei più avanti, la vicenda e la risposta istintiva della parte più razzista dell’opinione pubblica mi ha ricordato molto l’assassinio di Davide Bifolco a Napoli.
Napoli è un altro luogo dove è facile tracciare il confine arbitrario tra criminale e ragazzino innocente. In quel caso, due carabinieri avevano intimato a tre ragazzi su un motorino con l’assicurazione scaduta di fermarsi: i tre erano scappati, i carabinieri avevano speronato il motorino e, credendo di vedere una pistola, uno dei due aveva sparato al petto a un ragazzino di 16 anni, appunto Davide Bifolco. I mezzi di informazione non esitarono a rilanciare la notizia falsa che i tre avessero “forzato un posto di blocco”.
Ma persino nel parlare della città italiana più razzializzata d’Italia si riesce a riservare il peggio nei confronti di un gruppo ben definito ovvero “i marocchini”. Forse conoscere queste frasi non sarebbe possibile se non grazie a personaggi infami della statura di Cicalone, ma rimane il fatto: abbiamo una percezione completamente altra nei confronti di un gruppo di persone specifico per quanto ampio.
Non dico che questo scontro frontale che si profila tra due culture, maranza contro Stato italiano, sia solo una responsabilità della destra, anzi, anche se è evidente un tentativo di strumentalizzarlo più da una parte che dall’altra.
Allo stesso tempo credo che ci sia qualcosa di perversamente strategico nella scelta di Derive e Approdi, casa editrice pazzesca che pubblica testi ancor più pazzeschi, nel tradurre “Beaufs et barbares” (che credo sia traducibile con qualcosa tipo “coatti bianchi e maranza”) in “Maranza di tutto il mondo, unitevi!”. L’autrice è Houria Bouteldja, autrice franco-algerina. Nel leggerla sono stupito che avesse cinquant’anni (se non sbaglio quarantacinque al tempo della pubblicazione in Francia).
Certo è che dopo la morte di Ramy Elgaml e le rivolte del Corvetto questa frase assume tutto un altro significato.
Sono venuto a conoscenza di questo titolo grazie a due newsletter, ovvero quella di Serena Mazzini e Tempolinea (la newsletter di Iconografie) che nel suo ultimo numero ne ha riportato un ampio estratto. Parla di periferie e persone che le abitano in un modo che noi non siamo pronti a comprendere se non con occhi distratti e banalizzanti, ingenui nel migliore o strumentali nel peggiore dei casi.
Ho iniziato a leggerlo poche ora prima di iniziare a scrivere la newsletter, quindi mi limito a riportare qualcosa dell’estratto riportato su Tempolinea. Forse questo è il passaggio più illuminante:
Per dirlo semplicemente, i poteri pubblici hanno sistematicamente scaricato il peso del razzismo strutturale dello Stato sul Front National/Rassemblement National e sui piccoli bianchi, cioè rispettivamente sul baluardo del razzismo repubblicano e sugli ultimi della scala del sistema razziale. A questi ultimi è rimasto l’obbligo di ingoiare il rospo e il dovere di «tollerare» il loro vicino mentre l’indigeno li schernisce, radicato nella sua onnipotenza culturale e nella sua capacità di ribellione. Lui, l’indigeno, che osa saccheggiare gli edifici pubblici, bruciare le auto, liberato da ogni convenzione che si impone alle brave persone. Sono quelli che si alzano presto, lavorano di più ma guadagnano meno.
Il punto di ebollizione a cui sono arrivate più volte le tensioni in Francia rappresentano, almeno per me, il punto più interessante e forse il vero punto in comune con quello che abbiamo solo assaggiato al Corvetto. Per una volta i maranza hanno smesso di essere dei selvaggi, almeno per un momento: erano una creatura ibrida tra il black bloc e il ragazzino che grida “Dio è grande” al Duomo a capodanno, rivelando una complessità che credo nessuno (figurarsi bonanima Beppe Sala) sia davvero capace di affrontare sul piano delle politiche pubbliche.
Piccolissimo excursus che potenzialmente mi compete meno della sociologia, ovvero l’urbanistica. In questo senso però, come spesso succede, il libro più prezioso è “L’invenzione di Milano” di Lucia Tozzi.
Migliaia di ricerche, convegni, statistiche, articoli, hanno focalizzato per anni l'attenzione su questi territori disfunzionali, stigmatizzandoli come ghetti e producendo effettivamente la ghettizzazione dei loro abitanti. La conseguenza più perniciosa di questo processo non è stata la diffamazione in sé, ma il ventaglio di false soluzioni che ha creato. La mixité è un concetto di apparente buon senso elevato acriticamente a dogma: se si rompe l'isolamento sociale delle enclaves più problematiche introducendo abitanti di diverso censo e cultura si ottiene un miglioramento oggettivo della qualità della vita. Il problema è che la sua logica ormai è quella secondo la quale «la diversity è intesa come ‘non troppi poveri’ e l’inclusività significa ‘includere i ricchi’».
Ultima citazione che mi concedo, a caso ma non troppo, è San Tarzan da via Santa Croce in Gerusalemme 55, passo del Vangelo già riportato in un vecchio numero di questa newsletter:
Se metti tutti gli sfigati in un posto non è che pe magia diventa un bel posto, no, è na merda
Ora, facciamo finta per un secondo che le rivolte del Corvetto siano avvenute davvero in qualcosa che assomiglia a una banlieue francese, quindi in un luogo dove questa roba si è stratificata fino a un punto di non ritorno. Un luogo pronto a esplodere ogni volta che si verifica un caso simile a quello di Ramy Elgaml.
Qualche ora prima di scrivere la newsletter ho rivisto Athena.
(Che è un bel film anche per chi non ama interrogarsi ma vuole solo vedere piani sequenza con violenza di vario genere)
Il film, come mi ricordava qualcuno che non so se vuol essere citato, è uscito pochi mesi prima dell’assassinio di Nahel Merzouk, una delle tante vittime di una polizia francese tendenzialmente razzista che non ha idea di come gestire una criminalità di piccolo taglio senza che ci scappi il morto.
In Athena ci sono tutti i livelli di quel lato della barricata in questo presunto scontro di civiltà in una sola famiglia.
C’è il morto tredicenne Idir, che si presume sia stato ucciso da tre poliziotti;
c’è la rabbia di Karim che guida le rivolte dei maranza;
c’è la compostezza del soldato Abdel;
e poi c’è il criminale Moktar.
Rivedendolo non ho capito se questi livelli vadano considerati tutti insieme, ma ci sono rimasto quasi male nel capire quanto Moktar sia stato scritto come personaggio completamente negativo: uno spacciatore interessato solo ai suoi affari, che se ne frega del fratellino morto e che non fa in nessun modo parte della storia se non per il fatto che si ritrova nello spazio e nel tempo in cui ci sono in corso gli scontri.
Ecco, Athena mi è sembrato un film che mantiene in sé l’incapacità di guardare ai maranza per quello che probabilmente sono: coattelli, magari criminali, vittime. Come se non fossimo in grado di considerare tutte queste cose insieme, come se avessimo bisogno di scindere per forza una cosa dall’altra.
Come se non fossimo in grado di dire che molestare quattro o dieci pischelle al Duomo sia un atto da schifare, respingere e far pagare alla società - ma che allo stesso tempo non è legittimo tirare giù due ragazzini in scooter perché sono sospettati di non si sa cosa, e che invece è legittima la rabbia dei loro amici, dei loro parenti, dei loro simili.
Ennesimo snodo sconclusionato di questa newsletter: in questi giorni il governo ha ampliato gli effetti del DL Caivano ad altre sei periferie italiane, tra cui il Quarticciolo a Roma, un posto dove una comunità sta cercando di liberarsi dall’emarginazione che deriva da anni di abbandono istituzionale e dallo spaccio dilagante di crack. Ci saranno molte operazioni di polizia e ci sarà anche probabilmente qualche azione volta a limitare o danneggiare le attività di chi su quel territorio opera da anni senza alcun sostegno. Lo stesso succederà a Rozzano e altri posti d’Italia probabilmente colmi di maranza.
L’effetto di questo decreto si è già visto: le carceri minorili scoppiano come mai prima d’ora. Ora, non voglio fare azzardi affrettati e poco data driven, ma sono pronto a scommettere che una bella percentuale sono maranzini. Magari come Youssef Barsom, morto carbonizzato non in un minorile ma a San Vittore, in carcere per rapina dopo aver subito torture in Libia e nonostante una perizia psichiatrica che l’avrebbe dovuto tenere lontano da quel luogo.
L’altra sera mi ero fermato qui, pensando che magari una frase a effetto per chiudere la newsletter mi sarebbe venuta naturale rileggendo tutto.
Ora come ora, però, l’unica frase che mi viene in mente è scritta sugli striscioni e sui muri.
Alla prossima
sì dalla prima all'ultima parola