la violenza è sempre sbagliata
mucho texto 14/12/2024 scritto da Valerio Renzi con un titolo scelto da me per la polizia postale
Ciao!
Inizio questo mucho texto in corsivo perché è solo l’intro al primo vero ospite di mucho texto
Ce ne sono stat3 altr3 eh, ma qui dico primo ospite nel senso che se prima ero io a fare domande in questo caso è stato proprio lui a dirmi “te prego famme sbroccà” (non credo l’abbia detto così, anche se non è così inverosimile).
In una settimana dominata da Luigi Mangione io avrei voluto astenermi dal tema “violenza”, anche perché ne stanno parlando tutt3 in maniera compulsiva e quando si mischia così tanto meme e realtà per me è impossibile restare serio. Non dico che Mangione non sia un argomento serio, per carità, c’è chi l’ha trattato seriamente e secondo me bene (Simone Pieranni in Fuori da qui) e chi l’ha fatto male (molte altre persone che non andrò a citare). È solo che già questa newsletter è una versione muro di testo di quella discarica che sono le mie storie Instagram, se in più mi infilo in un dibattito che mi fa venire il voltastomaco è finita.
Dopodiché, ho perso l’occasione di fare un mucho texto fatto bene su Leonardo Caffo e sull’intervista che ha dato a Libero e sul perché secondo questa roba non ci deve solo far indignare come sempre ma preoccupare molto seriamente. Ma stavo finendo un’altra newsletter per lavoro e non ce l’ho fatta coi tempi. Sto solo aspettando che lo invitino in tv, cosa che temo accadrà.
E quindi in qualche modo questa newsletter parla di violenza politica. Lo trovo particolarmente adatto visto il tono di certe robe che sono circolate, sia in senso trionfalistico da una parte sia in senso paternalistico-democristiano dall’altra.
Oggi ve ne parla Valerio Renzi, giornalista di Fanpage.it dove è capo dell’area di cronaca romana. Valerio è molto esperto di fascismo e neofascismo, scrive una delle mie newsletter preferite in assoluto che è S’è destra, e anche quando non siamo d’accordo trovo sempre stimolante quel che scrive.
Gli incisi foto e le didascalie alle foto li ho aggiunti io.
Qui sotto ci si iscrive alla sua newsletter, noi ci sentiamo presto!
Qualche settimana fa ho seguito una manifestazione alla Sapienza, in cui studentesse e studenti contestavano la presenza di Azione Universitaria dentro l’ateneo. Il giorno prima gli studenti di Fratelli d’Italia avevano tentato in tutti i modi di condizionare per quanto possibile le elezioni, facendo i bulletti ai seggi di qualche facoltà. Il risultato? Quelli delle liste di sinistra li hanno cacciati a calci nel sedere, così i militanti di Azione Universitaria il giorno dopo si sono presentati con una truppa di parlamentari per verificare “la regolarità delle elezioni”.
Una gita, quella in città universitaria, utile per rinfrancarmi lo spirito e farmi pervadere da un po’ di nostalgia, pensando a quanto era bella stare lì con il megafono e una sana rabbia da urlare, ma anche per osservare da vicino alcune cose che mi interessano particolarmente.
Per prima cosa chi contestava quelli di Azione Universitaria lo faceva ribadendo un’idea semplice: sono dei fascisti di estrema destra. Sì, ok, sono al governo, ma sono dei fascisti e la presenza dei fascisti non va normalizzata.
(Dopo l’inchiesta di Fanpage.it Gioventù Meloniana vogliamo davvero discutere se sono fascisti sì/no/forse?)

E questo primo elemento mi sembra significativo: dentro l’università la presenza di questi, per quanto potere possano avere, c’è chi non la vuole normalizzare.
Seconda cosa: quelli di Azione Universitaria, in numero decisamente minore di quelli dei collettivi, hanno avuto un atteggiamento “militante” che sinceramente non pensavo gli appartenesse più. Caschi in testa, facce coperte dalle sciarpe, disponibilità allo scontro fisico brandendo le cinte e volontà chiarissima di imporre la loro presenza (sempre ben tutelata dalle forze dell’ordine). Insomma: erano abbastanza coatti. Evidentemente alcune cose contano ancora da quelle parti, e il cursus honorum per arrivare in parlamento prevede sempre le stesse tappe.
La cosa paradossale era che, mentre questi ceffi di Azione Universitaria facevano i bulli, per il centrodestra il paese era sull’orlo di una spirale di violenza politica.
Ho letto Maurizio Belpietro scrivere un editoriale sulla prima pagina della Verità in cui tacciava Christian Raimo (!), Maurizio Landini (!!) e Matteo Lepore (!!!) di essere dei cattivi maestri ispiratori della violenza. Pretesto dell’invettiva i quattro spintoni a Bologna tra le prime file dei centri sociali e le forze dell’ordine: qualcuno si era giustamente incazzato di vedere quelli di CasaPound e della Rete dei Patrioti sfilare a ridosso della stazione di Bologna, quella della strage fascista del 2 agosto 1980.
Ora che dovrebbe dire la buona anima di Antonio Negri? Il filosofo additato di essere il “cattivo maestro” per eccellenza la rivoluzione voleva farla davvero, in anni in cui la violenza politica era un fenomeno di massa in Italia. Addirittura un delirante teorema giudiziario (conosciuto come “teorema 7 aprile”) lo voleva non solo capo delle BR ma addirittura telefonista del sequestro Moro! Ecco, ma almeno Negri scriveva di come fare la rivoluzione, qui invece siamo di fronte a uno scrittore e insegnante che è un cattolico praticante, certo un bel rompipalle che non rinuncia a dire la sua, ma un pacifista convinto; al segretario del più grande sindacato italiano e a un sindaco del Partito Democratico, neanche quello più di sinistra.

La verità è che viviamo in un Paese con un grado di conflittualità sociale bassissimo, dove la violenza politica è un fenomeno inesistente e anche gli “scontri” per lo più non sono veri e propri scontri, ma il pestaggio di manifestanti disarmati che spingono sugli scudi della polizia a mani nude.

Nonostante questo lo spauracchio del terrorismo, delle Brigate Rosse, degli “anni di piombo” (che espressione orribile), delle P38 è agitato ossessivamente.
Addirittura se si brucia un fantoccio di un politico (quale gesto più carnevalesco possiamo immaginare di un gesto che dissimula la violenza esorcizzandola?), subito la stampa di destra urla ai “membri del governo messi nel mirino”. Ma messi nel mirino da chi? Dai collettivi universitari? Dai “centri sociali” (formula che racchiude una quantità di esperienze così diverse da essere a volte inassimilabili tra loro)? Siamo seri: non esiste nessun pericolo di questo genere in Italia.

Il Governo Meloni ha portato al parossismo una tendenza che è in atto da vent’anni nella politica italiana, ovvero usare lo spauracchio della violenza politica e del terrorismo per criminalizzare qualsiasi forma di conflittualità sociale. Ora il governo non si accontenta di criminalizzare, agisce con l’intento di annichilire preventivamente qualsiasi forma di conflittualità sociale agitando lo spettro da tempo evaporato della violenza politica.
Perché questo accade? “Perché l’Italia non ha mai fatto i conti politicamente con gli anni Settanta”, “Perché quegli eventi non sono mai stati storicizzati”, sono due risposte tipiche che a sinistra (all’estrema sinistra, dai) vengono date. Penso che a oggi siano entrambe insufficienti.
Mi spiego meglio.
Non è vero che “gli anni di piombo” (ancora questa espressione orrenda), non sono mai stati storicizzati. Lo sono stati, ma sono stati storicizzati male. I terroristi sono stati rappresentati solo come belve sanguinarie, come criminali, mentre a essere completamente scomparsa è l’estensione del fenomeno dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Se chi ha rapito Aldo Moro erano pochissime persone, le persone coinvolte in fenomeni di illegalità e nei gruppi armati sono state decine di migliaia.

Da studente di storia ho avuto il privilegio di lavorare alla digitalizzazione dell’archivio di Radio Onda Rossa. Ascoltando un filo diretto con gli ascoltatori, il giorno successivo al rapimento Moro a chiamare è una casalinga che ha sempre votato PCI, come tutta la sua famiglia di proletari, che racconta come il marito e il figlio l’hanno quasi cacciata di casa perché a lei in fondo questa cosa che hanno fatto i brigatisti mica gli dispiace più di tanto.
Qui non si tratta di fare il panegirico delle BR o dell’idea bislacca che portare “l’attacco al cuore dello Stato” fosse una buona idea, di discettare dell’attualità della lotta armata, ma di riconoscere come in Italia si sono sovrapposti tre fenomeni, negli anni Settanta, che sono difficilmente scindibili e che si sono alimentati uno con l’altro:
una democratizzazione complessiva della società (Basaglia che apre i manicomi, l’università di massa, il movimento femminista e la liberazione sessuale)
accompagnata da un’affermazione potente dell’egualitarismo (sono gli anni per dire in cui si conquista lo Statuto dei Lavoratori)
e l’estensione di un movimento rivoluzionario e antagonista, che non si esprimeva solo tramite la violenza e il terrorismo, che non ha avuto pari nei Paesi occidentali.

Questi che sto presentando sono problemi complessi, è vero, ma non è vero che non possano essere oggetto di una pedagogia e di una discussione pubblica adeguata.
Prendiamo due esempi lontanissimi tra loro: La notte della Repubblica di Sergio Zavoli è una trasmissione in 18 puntate (sono tutte su Raiplay) dove l’impostazione chiarissima di condanna degli eccessi rivoluzionari e del terrorismo, in difesa delle istituzioni repubblicane, non impediscono di tracciare l’ampiezza del fenomeno e di interloquire direttamente con alcuni dei protagonisti.
Pensate oggi i terroristi sulla tv pubblica a discutere delle loro scelte, delle loro vite e del significato della loro lotta.

L’altro esempio è una serie tv ante litteram che, pur rispondendo alle regole di uno sceneggiato tv, fa emergere bene l’intreccio delle tre dimensioni di cui parlavo prima, ovvero La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana.
Urlando al pericolo del terrorismo e della violenza politica, quello che la destra postfascista vuole colpire (in sintonia con i liberali di questo paese, ormai convertiti al suprematismo occidentale) è il riemergere di qualsiasi progetto politico egualitario. Lo scandalo è l’affermazione che siamo tutti uguali, e che pochi non possono avere tutto.
La destra postfascista oggi sta facendo un massiccio investimento sul terreno della memoria storica e dell’uso pubblico della storia, insistendo in particolar modo proprio sugli anni Settanta e sulla violenza politica. E lo ha fatto dal giorno uno, dal discorso con cui Giorgia Meloni ha chiesto la fiducia come premier:
Nell'abisso non si pareggiano mai i conti, si precipita e basta. Ho conosciuto giovanissima il profumo della libertà, l'ansia per la verità storica e il rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione proprio militando nella destra democratica italiana. Una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando nel nome dell'antifascismo militante ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese. Quella lunga stagione di lutti ha perpetuato l'odio della guerra civile e allontanato una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro, da sempre auspica.
Livelli di vittimismo pro.
Quello che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia propongono al centrosinistra è un vero e proprio nuovo patto su quali debbano essere le radici comuni della nostra democrazia. Non più la Resistenza e l’antifascismo, valori che evidentemente, pur condannando il regime e le leggi razziali la destra postfascista non può condividere, ma il rifiuto e la condanna della violenza politica degli anni Settanta. Il riconoscimento politico dei rispettivi morti, il riconoscimento dei giovani neofascisti come vittime della violenza antifascista. L’ingresso dei propri morti nel novero dei martiri della patria.
Per farlo è necessario però proferire una bugia e imporre un’amnesia. La bugia è quella che la destra è sempre stata democratica: questo non è vero. Il Movimento Sociale Italiano non solo ha sempre auspicato una svolta autoritaria fino alla fine degli anni Settanta, ma non ha mai rotto con gli ambienti della destra eversiva, fungendo da partito ombrello pronto a riaccogliere i transfughi dei gruppi alla sua destra quando stava per abbattersi su di loro la mannaia giudiziaria.
L’amnesia è quella sulle responsabilità del neofascismo nella strategia della tensione e nelle stragi di Stato. Senza dimenticare questa parte della storia italiana fare le vittime è più difficile.

Campione indiscusso della scrittura della storia del neofascismo italiano come quella di vittime sacrificali della barbarie antifascista, non poteva essere altri che Ignazio La Russa.
"Esiste un solo caso di violenza attribuita alla destra che fu preso sotto casa con le stesse modalità? Io non lo conosco, sicuramente a Milano no", ha dichiarato presentando un libro sull’omicidio di Sergio Ramelli alla Camera lo scorso 4 dicembre.

Presentando lo stesso libro qualche settimana prima aveva invece dichiarato: “Nel 1969 passò un corteo di sinistra in piazza San Babila. E per la prima volta dei ragazzi avevano in mano dei bastoni. La cosa ci scandalizzò perché fino a quel momento la violenza era fatta di sberle. Cominciava un’escalation, dai bastoni si passò alle chiavi inglesi e poi alle pistole. Fermiamo qualsiasi piccola escalation prima che possa essere troppo tardi”.
Ce li vedete questo gruppo di giovani del Fronte della Gioventù mentre paciosi fanno l’aperitivo, “scandalizzati” dalle spranghe? E questi neofascisti pucciosi, per i quali il confronto con gli avversari sono al massimo un paio di simpatici sberloni alla Bud Spencer? Inutile ricordare come l’MSI ha affrontato il Sessantotto, con Giorgio Almirante che guidava gli squadristi che bastoni in mano tentavano di riportare l’ordine alla Sapienza occupata dagli studenti.

Inutile ricordare il giovane socialista Paolo Rossi (Paolo Rossi era un ragazzo come noi, cantava Venditti) che nel 1966 veniva scaraventato dalle scale di Lettere perdendo la vita. Ci dovrebbe essere un limite al livello di mistificazione, anche della propria biografia, che si può raggiungere. Ma la destra italiana è insuperabile non solo per vittimismo, ma anche di una peculiare forma di marranesimo, in cui in pubblico si professa una fede, mentre in privato si continua a professare la vecchia.
Detto questo, circa 9.000 battute dopo, torniamo alla Sapienza. Ho fatto tante manifestazioni da studente, tantissime anche dopo e mi occupo di destre, memoria, antifascismo da più di dieci anni anche per mestiere, e devo confessare che continua a sentirmi a disagio quando sento slogan come “10, 100, 1000 Acca Larentia”, “ahi ahi che male alle cervella le ultime parole di Paolo Di Nella”, e così via. Questo non perché prima ero radicale e oggi moderato, certo ho cambiato idee su molte cose rispetto al me di 16 anni, ma mi mettevano a disagio anche allora.

Questo perché credo, forse da ragazzino lo intuivo, che questi slogan sono il rovescio della medaglia di chi ci vuole tenere in ostaggio del racconto degli anni Settanta come una pozza di sangue che si estende fino ad oggi inghiottendo tutto. Non aiutano a raccontare e capire cosa è voluto dire per la storia italiana avere il più robusto movimento operaio e rivoluzionario d’Occidente, a conoscere la storia delle sinistre e dei movimenti, e mimano il conflitto più che agirlo.
Perché mettere in rima omicidi politici così lontani, oggettivamente, non aiuta a praticare il conflitto né a restituire quegli eventi a una memoria collettiva che li conduca nel giusto posto. La grammatica dell’antifascismo militante (dai, è la realtà) dovrebbe fare un po’ di sforzo. Anche perché tanti di quei ragazzi e ragazze li conosco, e non si immaginano né in clandestinità né in carcere, ma in giro per il mondo a fare cose bellissime, ad aiutare gli altri, a dare il loro contributo per cambiare la società.
Però sono a pronti a mettere a rischio la propria libertà per disobbedire a un’ingiustizia o per cacciare i fascisti dall’università.
e niente grazie valè hai mantenuto la promessa di fare il record di battute di questa newsletter (o quasi, non le ho contate tutte, forse quella sull’Umbria era più lunga, ergo Umbria > anni Settanta ufficiale)
Approfitto del fatto che qualche pazzoide è arrivato fino a qui per fare un’errata corrige: nella scorsa newsletter c’era un refuso gigantesco, ovvero la prima pagina di Libero dell’11 dicembre 2023 e non quella del 2024. Che ovviamente era dedicata a Giorgia Meloni la più potente d’Europa. Grazie ai fratelli Luca Bagnariol e Federico Cristiani che me l’hanno segnalato.
vvb alla prossima <3